Extranei - Anno 1980



Come un dio americano

Come un dio americano,
che sa solo l'inglese
a caccia di zanzare,
in un altro paese.
Come un'erba cattiva,
come due occhi buoni,
come un sogno di lupo,
come una cosa allegra,
come un valzer viennese,
sotto un muso un po' cupo.

Come una vendetta,
non chiesta da nessuno,
fatto di carne e di sangue,
di fretta e di diugiuno.
Come ferito a morte,
come anima in pena,
come vita venduta,
come un angelo in lacrime,
per la rabbia e il ricordo,
di una brutta caduta.

Camminava di notte,
camminava da solo.
Giannizzeri e gendarmi,
fanno festa la sera,
per il dio della birra
si sacrifichi un uomo,
nella bassa balera.
Lui la testa confusa,
tra la morte e l'amore,
sta sprofondando in silenzio,
ma li ha fatti tacere,
si li ha fatti tacere,
era un uomo d'onore
strangolato d'assenzio.

Ma nel coro di voci,
un'anima con la visiera,
riesce a far sventolare
una strana bandiera.
Facciamolo vivere
questo ragazzo,
gli dicono,
ci ha dato tanto.
Facciamolo vivere
gli gridano in faccia,
dentro di lui
forse ci abita un santo.

Facciamolo vivere,
magari non tanto
Come un giustiziere,
come un dio americano,
come un'orsa maggiore
con le stelle bagnate
e un coltello in mano.

Come un urlo del vento,
come un alito sporco,
come una birra scura.
Come una giacca larga
fatta per ospitare
le spalle di un'avventura.
Come un inseguitore,
senza preda nè meta,
come un dio americano,
figlio di chissà che poeta.
Come un lancio di dadi,
come un poker servito
scherzo della natura.
Come un Ercole assorto
in un vicolo cieco
tra un caffè e la paura.
Lo trovarono vivo
o più vivo che morto.

 

I musicisti

I musicisti sono matematici,
sono dei logici con l'acqua alla gola
e anche inquilini di quell'universo sfitto,
che non potrebbe abitare la parola.
Sono i profeti del mistero del silenzio,
i tiratori scelti della fantasia,
credono solo nel reticolo sensibile,
in cui la violenza incrocia la malinconia.

Sono i cantori muti di metropoli,
carta vetrata scivolata nella gola,
oppure sono nati contadini
e allora cantano per un'estate sola.
Caduti al mondo come da una cometa,
consumatori di mancanza di memoria,
non riempiranno mai i tuoi libri di storia,
come i girovaghi non riempiono una meta.

I musicisti stanno tra parentesi,
sono i due punti tra la musica e la vita,
appesi al cielo da troppa forza centrifuga,
toccano spesso anche la terra con le dita.
Fanno i funamboli sopra una corda tesa,
tra un soffio e l'altro di un cuore mai maturo,
sul marciapiede frequentato dal rumore,
sono la variabile presente del futuro.

I musicisti vivono sui treni,
per timidezza e perchè è terra di nessuno,
non si può dire che non amino la notte
o che non sappiano resistere al digiuno.
La loro anima ha dei colpi di vertigine,
tra la paura, la dolcezza e l'incoscienza,
muoiono forse per un colpo di triangolo,
mai di dolore e nemmeno di coerenza.

I musicisti sono dei falsari,
nessuna anagrafe li ha ancora registrati,
sono dei malviventi senza un'anima gemella,
non sono un esercito e nemmeno disarmati,
come ingegneri di una macchina invisibile,
che è impossibile azionare con la mano,
come le pulci acrobatiche di un circo,
retto dall'anima algebrica di un nano.

Contrabbandieri di sospiri e aria compressa,
sotto le regole innocenti degli accordi,
per ritrovarsi poi continuamente in perdita,
di fronte all'ordine enigmatico dei sordi,
agenti segreti stipendiati dall'ignoto,
secondo alcuni, discendenti da una spia,
perdono il tempo solo per lasciarlo vuoto
e per non diventare una categoria.

 

Double face

Vestivi bene, quel giorno in piazza,
insieme a noi c'era una tua nuova ragazza,
vestivi bene con il cappello di borsalino,
per la mano una donna nuova
e quello stupido bambino.
Che strano tipo di autorità,
farmi fare il giro di tutti i bar della città.
Che strani amici rubacuori,
e che occhi per le donne,
che discorsi da giocatori.

Favero Favero, che cosa mi avrai insegnato,
con quella tua vocazione, da mantenuto, da sbandato
e quale esempio? Quale educazione?
Grande campione d'aperitivo,
sempre giovane vitellone.
Che strana vita, a braccio di ferro,
tra il saggio splendido e l'uomo senz'accento,
che strano amore, tra padre e figlio,
facciamo a chi è più eroe, dai,
facciamo a chi è più coniglio.

Cosa mi tocca oggi di ricontare,
ancora facciamo a gara
come voglia di lavorare.
Professionista del tradimento,
sei sempre stato un mistero
e mai mai un documento.

Favero Favero, sempre estraneo sempre fuori
dalla girandola della vita e dall'obbligo degli amori.
Sei lontano, sei lontano e così sia,
ma sarò io tua brutta copia
oppure tu lo eri della mia.

 

Il muto

Il muto abitava una casa isolata,
abbastanza lontano dal paese,
in cui non arrivavano i rumori,
i suoi muri di gomma tenevano fuori,
le campane assordanti delle chiese.
Il paese nasceva nei pressi di un fiume,
silenzioso e tranquillo come il male,
e sull'altra sponda bagnava,
l'immagine di ghiaccio e di nebbia
di un altro paese quasi uguale.

Il muto riempiva dei suoi grandi silenzi,
le bottiglie e gli oggetti della vita,
si diceva che un giorno aveva parlato,
ma nessuno aveva ascoltato,
la sua strana canzone impaurita.
Si diceva che un giorno aveva accettato,
di misurarsi coi rumori del mondo,
ma troppo tempo, si diceva,
troppo tempo è passato,
per ricordare se avesse una voce d'argento
o solo una voglia di morire
che veniva dal profondo.

Certamente aveva girato molto le strade,
era entrato molto spesso nei bar,
uomo vecchio, forse anche senza memoria,
difficile dire, nessuno sapeva quanti anni avesse,
ma nessuno nemmeno la storia.
Certo gli occhi erano grandi come di un ragazzo
e d'altronde non si era sposato,
ma chi oggi può dire dopo quel che è successo,
se sia migliore o peggiore,
di quelli che hanno sempre parlato.

Non riuscirono mai a fargli pronunciare un si,
ci provarono i preti ed i notai,
non stupiamoci oggi se si ammutolì,
certamente non ci tradì mai,
certamente non si tradì mai.
E viveva da solo nel paese sul fiume,
con i capelli bianchi sparsi sulla fronte,
senza dire mai niente,
senza amare nessuno,
fino a che costruirono,
fino a che costruirono il ponte.

 

Der Blaue Engel

La prima volta fu quando si mise a ridere davanti allo specchio
ruppe un bicchiere e si taglio coi pezzi certo non perchè fosse vecchio,
e la seconda volta fu quando lo ritrovarono sdraiato alla stazione
e non sapeva se partiva, se tornava e che cosa ci faceva in quella strana posizione,
contava i punti di una linea, disse, la linea dei binari,
per misurare la sua distanza dalla vita usava i numeri immaginari.
La terza volta fu quando vinse al poker una fitta al cuore che non lo amava
e fu convinto che era sua la colpa perchè lui a poker barava.
La quarta volta fu quand'era bello stare ad ascoltarlo per ore,
improvvisarsi una memoria sanguinante e divertente come un ultimo amore.
La quinta volta fu quando rimase fermo più di un giorno sul portone
e non sapeva se rientrava o se usciva e che cosa ci faceva in quella strana posizione,
tentavo i bordi della vita, disse, della vita e del suo alfabeto,
mentre la morte mi addescava con le calze nere, disse, io sudavo vetro.
La sesta volta scese in strada e fece un fuoco d'artificio con i suoi documenti,
volto le spalle a quei bagliori rossi al fumo e disse: "indifferenti".
E poi la settima fu quando si lascio scavare da una ferita,
perse i capelli, i denti e quelle unghie con cui aveva sempre graffiato la vita.
L'ottava volta si senti inseguito, disse, da un rumore di passi di donne,
si riconobbe in un passante e poi cercò le spie nascoste tra le colonne.
L'ultima volta lo trovarono seduto a lato della notte,
con un cappello a larghe tese, una cravatta e un muso pieno di botte,
e disse sono qui tranquillo amici, disse, sono qui tranquillo che aspetto il giorno,
però lo so ho perduto, si lo so ho perduto il mio biglietto di ritorno.

 

La canzone del principe rospo

Si potrebbe parlare delle parole e della loro strana mania di mettersi insieme,
basta una penna o una bocca disposta all'amore e niente più le trattiene
e si potrebbe discutere se, c'entra qualcosa o qualcuno con quello che hanno da dire
e indagare nei sogni di chi, la notte vanno a dormire
e si potrebbe parlare di come lasciarle libere e di come tererle in prigione.
Ma mancano, per troppa libertà mancano,
non si sono lasciate sfuggire questa occasione
e mancano quindi, purtroppo mancano,
le ultime parole di questa canzone.

Pensare che avrei voluto parlare sul tema "attualità e tradizione",
prendermi il gusto di analizzare il mondo tra morte e resurrezione
e avrei voluto parlare di me, di una storia che il ritmo era il solito e di un'ossessione
e avrei voluto parlare di te, della tua liberazione
e avrei voluto parlare di noi, del perchè siamo così estranei così lontani.
Ma un ladro o forse il vento,
ha fatto sparire un capitolo della mia relazione sugli esseri umani,
e mancano quindi purtroppo mancano,
le ultime parole di questa canzone.

Potrei allora parlare di una vecchia storia ambientata in un bosco,
della meravigliosa trasformazione del principe rospo,
bastano pochi elementi: l'amore e una principessa,
per mettere insieme una strofa e mandare via la tristezza.
Ma le congetture sul principe rospo potrebbero risultare infinite,
sarà davvero tornato al suo trono, al suo posto,
sarà ancora nel suo stagno color antracite.
E si potrebbe discutere se la principessa avesse o meno le calze di rete
e se le nozze siano state o no santificate da un prete,
sarebbe inutile azzardare un parere, poi,
sugli sviluppi di questa strana improbabile unione,
perchè un principe ha sottratto alla storia,
i dati statistici sui rospi e la loro estinzione
e mancano, quindi purtroppo mancano,
le ultime parole di questa canzone.

 

Non aprire mai

C'è come una tela di ragno diceva, in cui mi sento prigionera,
ho sulla pelle qualcosa o qualcuno che senza stancarsi mai ci lavora,
mi copre di fili d'argento e mi lascia da sola a camminare in mezzo alla gente,
vivere in fondo non è necessario, ma certo non è sufficiente.
Ed è per questo, diceva, che io per me preferisco non dover scegliere mai,
l'inizio o la fine e nessuna storia, la serenità non sa convivere con la memoria.
Non mi sono mai conosciuta, diceva, e scommetto che non mi conoscerò,
non saprei mai rigirarmi nei miei angoli ottusi, nei miei angoli acuti,
preferisco svegliarmi per caso di notte e poi sparire in bocca al metrò,
io preferisco i mesi agli anni, le ore ai giorni, i secondi ai minuti.

Ed è per questo, diceva, che io non avrò paura di non aver niente da dire
e di non credere mai a quello che dico, di essere sola o di avere più di un amico.
Nei buchi neri del mondo è difficile perdersi completamente,
c'è sempre un momento in cui si ritorna con le mani nervose a domandare di niente,
ma lei c'è riuscita, diceva, non credo che ti ricorderai,
mentre ridendo mi lasciava una busta con scritto non aprire mai.
Ed è per questo che noi da oggi, abbiamo smesso di cercarla,
avrà certo fatto ancora molte volte l'amore,
avrà certo passato il confine straniero,
starà certo aspettando da sola il suo grande sospiro.

 

Il ponte

Il ponte fu costuito da generosi operai,
cominciarono con lo scavare nel fiume,
che disperato si ribellava, i cassoni, i piloni,
profanavano l'aspetto segreto delle sue molte dune.

E la gente li guardava da due rive opposte,
con una strana perplessità i bianchi ed i neri,
che non si erano mai conosciuti,
tranne quelli del guado di notte,
che imprecavano già eliminati,
già proprio loro i contrabbandieri.

Ed il ponte nasceva tra l'angoscia e la terra,
come sospeso tra il cielo e l'inferno,
aumentava ogni giorno di un quadrato di ferro,
ma qualcuno già cercava all'interno,
già qualcuno scappava all'interno.

Il fiume pertanto si sentiva violato,
la sua forza, la sua legge dov'era?
In quale orrore di pace e che promesse di guerra
veniva ad affaticare la sua giusta divisione
tra una terra e un'altra terra.

Lui che aveva sempre lasciato passare
solo il fiore del fiore degli anni,
uomini forti e cavalli innamorati
e una voglia, una voglia di donne
che non si era mai preoccupata di affanni.

E il ponte nasceva maestoso imponente,
tra due argini come una violenza,
la fatica alla fine sembrava una sorella,
sembrava impossibile averne mai fatto senza,
sembrava impossibile ormai farne senza.

Sembrava impossibile agli operai,
sembrava impossibile agli architetti, ai maestri costruttori,
che nessuno prima ci avesse pensato,
alla bellezza di ponte metallico,
ad un ponte che unisse la distanza infinita
tra due ordini di cuori.

Sembrava impossibile a tutti ma,
in un minuto, comprese il nemico
avverti la paura,
lo sguardo sereno, lo sguardo sereno del muto.