Piazze... Strade... Sogni - Anno 1995



Aspettando Godot

Vivo tutti i miei giorni aspettando Godot, dormo tutte le notti aspettando Godot.
Ho passato la vita ad aspettare Godot.
Nacqui un giorno di marzo o d'aprile non so, mia madre che mi allatta è un ricordo che ho, ma credo che già in quel giorno però invece di poppare io aspettassi Godot.
Nei prati verdi della mia infanzia, nei luoghi azzurri di cieli e acquiloni, nei giorni sereni che non rivedrò io stavo già aspettando Godot.
L'adolescenza mi strappò di là, e mi portò ad un tavolo grigio, dove fra tanti libri però, invece di leggere aspettavo Godot.
Giorni e giorni a quei tavolini, gli amici e le donne vedevo vicini, io mi mangiavo le mani però, non mi muovevo e aspettavo Godot.
Ma se i sensi comandano l'uomo obbedisce, così sposai la prima che incontrai, ma anche la notte di nozze però, non feci nulla aspettando Godot.
Poi lei mi costrinse ed un figlio arrivò, piccolo e tondo urlava ogni sera, ma invece di farlo giocare un po', io uscivo fuori ad aspettare Godot.
E dopo questo un altro arrivò, e dopo il secondo un altro però, per esser del tutto sincero dirò, che avrei preferito arrivasse Godot.
Sono invecchiato aspettando Godot, ho sepolto mio padre aspettando Godot, ho cresciuto i miei figli aspettando Godot.
Sono andato in pensione dieci anni fa, ed ho perso la moglie acquistando in età, i miei figli son grandi e lontani però, io sto ancora aspettando Godot.
Questa sera sono un vecchio di settantanni, solo e malato in mezzo a una strada, dopo tanta vita più pazienza non ho, non posso più aspettare Godot.
Ma questa strada mi porta fortuna, c'è un pozzo laggiù che specchia la luna, è buio profondo e mi ci butterò, senza aspettare che arrivi Godot.
In pochi passi ci sono davanti, ho il viso sudato e le mani tremanti, e la prima volta che sto per agire, senza aspettare che arrivi Godot.
Ma l'abitudine di tutta una vita, ha fatto si che ancora una volta, per un momento io mi sia girato, a veder se per caso Godot era arrivato.
La morte mi ha preso le mani e la vita, l'oblio mi ha coperto di luce infinita, e ho capito che non si può, coprirsi le spalle aspettando Godot.
Non ho mai agito aspettando Godot, per tutti i miei giorni aspettando Godot, e ho incominciato a vivere forte, proprio andando incontro alla morte, ho incominciato a vivere forte, proprio andando incontro alla morte.

 

Borghesia

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Sei contenta se un ladro muore se si arresta una puttana
se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana.
Sei soddisfatta dei danni altrui tieni stretti i denari tuoi
assillata dal gran tormento che un giorno se li riprenda il vento.
E la domenica vestita a festa con i capi famiglia in testa
ti raduni nelle tue Chiese in ogni città, in ogni paese.
Presti ascolto all'omelia rinunciando all'osteria
cosi grigia così per bene, ti porti a spasso le tue catene.

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Godi quando gli anormali son trattati da criminali
chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e intellettuali.
Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia
tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare.
Sai rubare con discrezione meschinità e moderazione
alterando bilanci e conti fatture e bolle di commissione.
Sai mentire con cortesia con cinismo e vigliaccheria
hai fatto dell'ipocrisia la tua formula di poesia.

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia. 

Non sopporti chi fa l'amore più di una volta alla settimana
chi lo fa per più di due ore, chi lo fa in maniera strana.
Di disgrazie puoi averne tante, per esempio una figlia artista
oppure un figlio non commerciante, o peggio ancora uno comunista.
Sempre pronta a spettegolare in nome del civile rispetto
sempre lì fissa a scrutare un orizzonte che si ferma al tetto.
Sempre pronta a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa
sempre pronta a leccar le ossa al più ricco ed ai suoi cani.

Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia
per piccina che tu sia il vento un giorno ti spazzerà via.

 

Quelli come noi

Io e un mio amico
delle volte ci troviamo
e ci diciamo che:
quelli come noi
che son venuti su un po' strani
e hanno avuto sempre
poche donne per le mani
e covano le loro solitudini
in segreto quasi con gelosia
lasciandosi un po' andare
solo davanti al vino forte di un bicchiere.
Quelli come noi
così timidi e ambiziosi
piuttosto silenziosi
e sempre con la testa piena
di musica di arte e grandi amori
e solo poche volte fan festa
e spesso invece cantano
perchè non hanno è quello che gli resta
Quelli come noi
che non valgono niente
quelli come noi
che non gli si darebbe un soldo
Invece,
quelli come noi
diciamo che valgono molto
e basterà che un giorno
trovino un po' di forza
e aiuteranno gli altri a dare un calcio al mondo
e prenderanno a pugni il Re e lo Stato
calpesteranno il dio per cui ogni libertà si fa peccato.
Perchè,
quelli come noi
non han rispetto per nessuno
non credono più a niente
e solo hanno il difetto
di essere nati un giorno tra i vigliacchi
tra i vinti dalla forza della vita
e di scordarselo soltanto
davanti a una bottiglia ormai finita.

 

Michel

Ti ricordi, Michel dei nostri pantaloni corti, delle tue gambe lunghe magre e forti e della rabbia che mi davano correndo tutti i giorni un po' più svelte delle mie.
Ti ricordi, Michel dei nostri soldatini morti, nella difesa eroica dei bastioni e seppelliti in una siepe con onori militari inventati lì per lì.
Ti ricordi, Michel del banco nero in terza fila, che ascoltò tutte le risate, di due bambini che vivevano in un sogno che non si ripeterà.
Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel che a me piaceva Garibaldi, ma tu dicevi che era un buffone e che senz'altro non poteva sostenere il confronto con il tuo Napoleone.
Ti ricordi, Michel di come ti prendevo in giro, per l'erre moscia che ti era rimasta, solo ricordo della Francia e della tua prima casa, dei tuoi amici di lassù.
Ti ricordi, Michel di come era esclusiva la tenerezza che ci univa, e accompagnò la nostra infanzia fino ai giorni della nuova realtà.
Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel di come a me dispiaceva, quando parlavi sempre di ragazze e delle voglie che avevi con due occhi un po' sottili che non conoscevo più.
Ti ricordi, Michel di quando i mei capelli corti, ti davano fastidio e dicevi, che se non la piantavo di fare il bambino tu con me non ci saresti uscito più.
Ti ricordi, Michel quel giorno che facemmo a pugni tornando a casa dalla scuola, con la cartella appogiata a una colonna a due passi dal palto.
Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel.
Ti ricordi, Michel il giorno che morì tua madre, che tu piangevi tanto che anche il cane che ti voleva così bene non aveva il coraggio di avvicinarsi un po'.
Ti ricordi, Michel che tristi erano quei giorni, io non sapevo proprio cosa dirti e che confusione avevo in testa e che stupore sul tuo viso e che voglia di partir.
Ti ricordi, Michel quei due saluti alla stazione e i lacrimoni venir giù, quando la macchina comincia a far pressione tu dovesti salir su.
Ti ricordi, Michel che fretta che avevano tutti, far partire la vettura, mentre lento il tuo vagone se ne andava ritornava la paura.
Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel. Ti ricordi, Michel.

 

La giacca

Bisogna andare, fino in fondo, in fondo a tutto in fondo a noi, in fondo agli argini del mondo, alla paura che mi fai. Fino in fondo alle tue cosce, ai miei timori alle tue angosce. Fino in fondo alla pianura, all'orizzonte della città. In fondo dove non troveremo nemmeno un'ombra per riposarci, in fondo dove sarà fatica, sarà sudore l'esser sincero, in fondo dove tutto è coperto sotto lo stesso mantello nero.
E se domani la mia giacca sarà, la giacca di un disgraziato, non sarò mai così fregato come tuo padre.

Bisogna andare sempre avanti, anche se noi non siamo in tanti, anzi davvero siam solo in due, le mani mie, le mani tue, devono stare sempre vicine, devono avere gli stessi guanti e non paura là sul confine di fare l'ultimo passo in avanti.
Bisogna andare incontro a tutti quelli che oggi come noi, voglion rischiare d'esser distrutti piuttosto di ritrovarsi poi, in una famiglia senza persone, come tra i muri di una prigione.
E se domani la mia giacca sarà, la giacca di un disgraziato, non sarò mai così fregato come tuo padre.

Bisogna vincere la morte, quella che non si fa vedere, che viene senza far rumore, che non si fa aprir le porte, che non fa mai vestir di nero tutti i parenti all'ospedale, che non ha mai camere ardenti, nè cerimonie, nè funerali. Quella nascosta nella tua noia, nella mia noia, nelle parole che ci diciamo senza capire nemmeno quel che vogliamo dire, quella che come un regista esperto ci mette in scena nel suo deserto.
E se domani la mia giacca sarà, la giacca di un disgraziato, non sarò mai così fregato come tuo padre.

 

Ho visto anche degli zingari felici (introduzione)

E' vero che dalle finestre
non riusciamo a vedere la luce
perché la notte vince sempre sul giorno
e la notte sangue non ne produce,
è vero che la nostra aria
diventa sempre più ragazzina
e si fa correre dietro
lungo le strade senza uscita,
è vero che non riusciamo a parlare
e che parliamo sempre troppo.

E' vero che sputiamo per terra
quando vediamo passare un gobbo,
un tredici o un ubriaco
o quando non vogliamo incrinare
il meraviglioso equilibrio
di un'obesità senza fine,
di una felicità senza peso.
E' vero che non vogliamo pagare
la colpa di non avere colpe
e che preferiamo morire
piuttosto che abbassare la faccia, è vero
cerchiamo l'amore sempre
nelle braccia sbagliate.

E' vero che non vogliamo cambiare
il nostro inverno in estate,
è vero che i poeti ci fanno paura
perché i poeti accarezzano troppo le gobbe,
amano l'odore delle armi
e odiano la fine della giornata.
Perché i poeti aprono sempre la loro finestra
anche se noi diciamo che è
una finestra sbagliata.

E' vero che non ci capiamo,
che non parliamo mai
in due la stessa lingua,
e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero
che abbiamo tanto da fare
e non facciamo mai niente.
E' vero che spesso la strada ci sembra un inferno
e una voce in cui non riusciamo a stare insieme,
dove non riconosciamo mai i nostri fratelli,
è vero che beviamo il sangue dei nostri padri,
che odiamo tutte le nostre donne
e tutti i nostri amici.

Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra,
ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.

Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra,
ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.

 

Ho visto anche degli zingari felici (conclusione)

Siamo noi a far ricca la terra
noi che sopportiamo
la malattia del sonno e la malaria
noi mandiamo al raccolto cotone, riso e grano,
noi piantiamo il mais
su tutto l'altopiano.
Noi penetriamo foreste, coltiviamo savane,
le nostre braccia arrivano
ogni giorno più lontane.
Da noi vengono i tesori alla terra carpiti,
con che poi tutti gli altri
restano favoriti.

E siamo noi a far bella la luna
con la nostra vita
coperta di stracci e di sassi di vetro.
Quella vita che gli altri ci respingono indietro
come un insulto,
come un ragno nella stanza.
Ma riprendiamola un mano, riprendiamola intera,
riprendiamoci la vita,
la terra, la luna e l'abbondanza.

E' vero che non ci capiamo
che non parliamo mai
in due la stessa lingua,
e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero
che abbiamo tanto da fare
e che non facciamo mai niente.
E' vero che spesso la strada ci sembra un inferno
o una voce in cui non riusciamo a stare insieme,
dove non riconosciamo mai i nostri fratelli.
E' vero che beviamo il sangue dei nostri padri,
che odiamo tutte le nostre donne
e tutti i nostri amici.

Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.
Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.

 

Anna di Francia

Anna di Francia che arriva,
Anna che ride, Anna che scherza,
Anna che ascolta, che parla
Anna che chiede, vuole sapere
come andremo a finire la sera,
Anna la piazza ti ama, ti ama con me.
Anna racconta: l'ultima Francia
com'era grigia, com'era triste,
Anna racconta: il nuovo lavoro
sempre camicie, solo camicie,
Anna ti sembra di essere pazza
Anna la piazza, la piazza ti ama con me.

Anna che mi porta via
e vuole bere, vuole parlare,
s'infila in un'osteria
forse stasera ha voglia di amore,
Anna più bella, più bella che pazza
Anna la piazza, la piazza ti ama con me.
Anna troviamo tanti amici,
uno comincia la discussione,
sono momenti quasi felici,
Anna mi guarda faccio il buffone
"e dove sarà la cultura operaia?"
Anna che scuote la testa e dice di no.

Anna non vive, è da sola
si è già stancata di prenderci in giro
"e Luigi Nono è un coglione,
l'alternativa nella cultura
non è solo ideologia
l'alternativa è organizzazione"
Anna si arrabbia, basta parlare,
Anna si alza, andiamo via
e mentre la strada mi fa perdonare
c'è anna che brinda alla sua anarchia,
Anna imprendibile più di un momento,
Anna dà un bacio alla piazza e poi se ne va.

Non sarò per te un orologio,
il lampadario che ti toglie il reggiseno,
quando è tardi, è notte e tu sei stanca
e la tua voglia come il tempo manca.
Non sarò per te un esattore
di una lacrima ventuno volte al mese,
non conterò i giorni alle tue lune
per far l'amore senza rimborso spese.
Non sarò per te solo lo specchio
di una faccia che non cambia mai vestito,
non sarò il tuo manico di scopa
travestito da amante o da marito.
Non sarò quel cielo grigio quel mattino,
il dentrificio che fa a pugni con il vino,
non sarò la tua consolazione,
e neanche il padre del tuo prossimo bambino.
Per questa volta almeno sarò la tua libertà,
per questa volta almeno solo la tua libertà,
per questa volta almeno la nostra libertà
e la piazza calda e dolce di questa città.

 

Piazza, bella piazza

Piazza, bella piazza
ci passò una lepre pazza,
uno lo cucinò, uno se lo mangiò,
uno lo divorò, uno lo torturò,
uno lo scorticò, uno lo stritolò,
uno lo impiccò
e del mignolino ch'era il più piccino
più niente restò.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...
Ci passarono dieci morti
i tacchi, e i legni degli ufficiali,
teste calve, politicanti
un metro e mezzo senza le ali,
ci passai con la barba lunga
per coprire le mie vergogne,
ci passai con i pugni in tasca
senza sassi per le carogne.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...
Ci passò tutta una città
calda e tesa come un'anguilla,
si sentiva battere il cuore,
ci mancò solo una scintilla;
capivamo di essere tanti
capivamo di essere forti,
il problema era solamente
come farlo capire ai morti.

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...
E fu il giorno dello stupore
e fu il giorno dell'impotenza,
si sentiva battere il cuore,
di Leone avrei fatto senza,
si sentiva qualcuno urlare
"solo fischi per quei maiali,
siamo stanchi di ritrovarci
solamente a dei funerali".

Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza...
Ci passarono le bandiere
un torrente di confusioni
in cui sentivo che rinasceva
l'energia dei miei giorni buoni,
ed eravamo davvero tanti,
eravamo davvero forti,
una sola contraddizione:
quella fila, quei dieci morti.

 

Incubo numero zero

Il giorno di solito comincia sporco
come l'inchiostro del nostro giornale
scritto sui bianchi muri delle prigioni della repubblica
federale.
Che giorno per giorno avanzando tranquillo
son quasi davanti alla tua finestra
con un corteo di stesse e scintille e i tamburini la banda
l'orchestra.
Spegnete la luce pensava Ulriche
che la foresta più nera è vicina,
ma oggi la luna ha una faccia da strega
e il sole ha lasciato i suoi raggi in cantina.
Spegnete la luce pensava Ulriche
che la foresta più nera è vicina,
ma un jumbojet scrive "viva il lavoro"
col sangue, nel cielo di questa mattina.

Con un megafono su un autobus rosso
un Cristo uscito dal Circo Togni
comincia un comizio con queste parole
"disoccupate le strade, dai sogni,
disoccupate le strade dai sogni
sono ingombranti, inutili, vivi
e i topi e i rifiuti siano tratti in arresto
decentreremo il formaggio e gli archivi.
Disoccupate le strade dai sogni,
per contenerli in un modo migliore,
possiamo fornirvi fotocopie d'assegno,
un falso diploma, un portamonete, una ventiquattrore.
Disoccupate le strade dai sogni,
ed arruolatevi nella polizia,
ci sarà il bisogno di partecipare
ed è questo il modo
al nostro progetto di democrazia.
Disoccupate le strade dai sogni
e continuate a pagare l'affitto
ed ogni carogna che abbia altri bisogni
dalla mia immensa bontà sia trafitto.
Da oggi è vietata la masturbazione
lambro e lambrusco vestiti di nero
apriranno le liste di disoccupazione
incidendo poi quelle del cimitero,
e poi, e poi,
poi costruiremo dei grandi ospedali,
i carabinieri saranno più buoni,
l'assistenza forse sarà gratuita per tutta la vita
e un vitto migliore nelle nostre prigioni.
Disoccupate le strade dai sogni
e regalateci le vostre parole,
che non vi si scopra nascosti a fare l'amore
i criminali siano illuminati dal sole.
Disoccupate le strade dai sogni,
disoccupate, disoccupate.
Disoccupate le strade dai sogni,
disoccupate, disoccupate.
Disoccupate le strade dai sogni,
disoccupate, disoccupate.
Disoccupate le strade dai sogni,
disoccupate..."

A questo punto arriva un trombone
cammina col culo però sembra alto
e intona commosso una strana canzone
Cristo la canta e mi è addosso, in un salto.
"Disoccupate le strade dai sogni
non ci sarà posto per la fantasia
nel paradiso pulito operoso
della nostra nuova (social)democrazia."

A questo punto mi butto dal cielo mi butto dal letto
e do un bacio in bocca a un orribile orco
e lecco l'inchiostro, lecco l'inchiostro,
lecco l'inchiostro del nostro giornale.

E' vero che il giorno sapeva di sporco
E' vero che il giorno sapeva di sporco
E' vero che il giorno sapeva di sporco
E' vero che il giorno sapeva di sporco

 

Aspirine

Quello che volevo raccontarti non lo so,
o forse, meglio, non me lo ricordo,
in un mare d'alcool si galleggia se si può,
se no si gioca a fare il morto,
ma abbiamo affari in corso e sopportarli non si può senza te,
è colpa delle mie emicranie...

Noi guardiamo il mondo sempre da una feritoia
e troppo spesso non ci piace,
non è bello né tondo e ci procura solo noia,
e niente, niente santa pace
tra le penitenze, le astinenze e tutto quel rock'n roll
e poi tutte le mie aspirine,

però ci ha dato strade, piazze, viali
e tanti tanti tanti bar malfamati
in cui ci siamo presi, persi, in cui
ci siamo spaventati, ci siamo amati,
per tempi lunghi, per città, per storia,
vocazione, abbracci e per saluti,
per una cosa che non sarà vita
ma neanche solo dieci minuti...

Qui fa notte presto e per chi ha vizi, come me,
de tempo almeno ne rimane,
sfioriamoci la pelle e poi dormiamo insieme per
almeno dieci settimane,
poi ci penseremo al mal di testa e alla contabilità,
a razionarci le aspirine.

C'è terra di nessuno tra l'angoscia e Gorbaciov,
sia detto con dolce ironia,
e lì vorrei portarti e riposarci per un po'
col corpo e con la fantasia,
ho l'indirizzo in qualche tasca, in testa
oppure non ce l'ho più
però ti giuro che ci credo,

perché è lo stesso delle strade, piazze,
viali e tanti tanti bar malfamati,
in cui ci siamo presi, persi, in cui ci
siamo spaventati, ci siamo amati,
per tempi lunghi, per città per storia,
vocazione, abbracci e per saluti,
per una cosa che non sarà vita
ma neanche solo dieci minuti...

 

Tien an men

E queste rose volano,
non sanno nulla
della rivolta in cui si sono aperte,
del sangue invaso di bandiere
che oggi ancora si apriranno.

O per quale libertà?
o per quale libertà?
Non ci siamo scontrati ieri
senza cena giovani.

Se ogni potere è
se ogni potere è
delinquente
all'est e all'ovest impotente.

O in questa notte che è se stessa
già quel sole,
solo un milione amore
di teste e cuori,
in un mattino ancora oppressi
ancora e più liberi.

O per quale libertà?
o per quale libertà?

 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

 

Un bel mattino

Un bel mattino ci sveglieremo e capiremo che siamo morti. O che non siamo ancora nati e non nasceremo mai.
Stropicceremo gli occhi assonnati e con sollievo, ci accorgeremo. Che le sofferenze, legate ai giorni, legate alle ore, sono svanite.
Che le veglie paurose tra mostri assillanti, le corse affannose su strade giganti, sono svanite e rideremo, ormai tranquilli, prendendoci in giro per la paura che abbiamo avuto, il sogno di vivere sarà finito.
Ma oggi amore dobbiamo andare, giù nella strada, dobbiamo lottare, perchè il sogno che ancora vediamo, che annega i nostri visi in un dolore ormai quotidiano, sia meno triste mentre aspettiamo, quel bel mattino in cui il Sole gonfi le vele verso la morte, in cui ci guidi verso il nulla, verso il nulla, verso il nulla.