La Tela n. 54 - Anno 6 - Settembre - Ottobre 1999
Claudio Lolli è uno dei personaggi più significativi della canzone di protesta degli anni settanta che l’hanno visto protagonista con dischi come Aspettando Godot (1972), Un uomo in crisi (1973), Canzoni di Rabbia (1975), Ho visto anche degli zingari felici (1976) e Disoccupate le strade dai sogni (1977), che raccolgono in musica le disillusioni e la rabbia di tutta una generazione. I suoi testi sono venati di una melanconia palpabile, tra poesia e musica, come se Leopardi incontrasse De Andrè e i cantautori francesi. Canzoni come Angoscia Metropolitana, Michel e Borghesia rivelano la caratura di questo straordinario cantastorie che trova la sua ispirazione nelle più profonde esperienze umane sia per denunciare i mali della società che per raccontare le sue sofferenze personali. Col passare degli anni Lolli si allontana dai riflettori anche se continua a scrivere splendide canzoni come Alla fine del cinema muto, Tutte le lingue del mondo e La morte avrà i tuoi occhi. Nel ’98 a un solo anno di distanza dall’album Le intermittenze del cuore, realizza in collaborazione con Paolo Capodacqua e Mimmo Locasciulli Viaggio in Italia, un lavoro che congiunge passato e presente attraverso la rilettura di classici come Michel e Aspettando Godot e nuove composizioni che rivelano la rinascita di uno dei cantautori più importanti e autentici di sempre. Michel è forse il capolavoro dell’intera raccolta che grazie alla fisarmonica di Locasciulli riscopre una nuova vitalità. Tra gli inediti spiccano L’amore ai tempi del fascismo e Non ho sorrisi, scritta da Paolo Capodacqua, chitarrista che coi suoi delicati arpeggi contribuisce a rendere l’intero capolavoro ancora più affascinante.
Quali sono i tuoi
principali modelli musicali e letterali?
Sono stato sicuramente influenzato dai
vecchi cantautori americani e francesi. In letteratura non si può parlare di
modelli, anche se mi piacciono molto alcuni scrittori americani.
Come mai hai fatto una scelta
radicale di uscire dal mercato?
Credo sia stata una scelta reciproca.
Non mi andava di stare a certe condizioni anche se non c’è alcun tipo di
pregiudiziale nei confronti di chi continua a fare musica ad alti livelli.
Cosa pensi dell’attuale scena
musicale italiana?
Non la conosco molto bene anche se ho
avuto modo di ascoltare diverse cose interessanti di giovani gruppi poco
conosciuti. Ho scoperto con piacere che c’è una particolare ricerca anche dei
testi delle canzoni oltre che della parte musicale.
Credi che la visione pessimistica che
ha caratterizzato le tue canzoni sia ancora attuale?
Assolutamente sì.
“Angoscia metropolitana”
parlava di una disperazione assoluta. Se l’hai vissuta che cosa ti ha salvato?
La
musica e la letteratura.
È giusto parlare di un rapporto di
amore e odio verso la Chiesa cattolica?
La
parola amore la puoi togliere.
Quali sono i tuoi progetti per il
futuro?
Sto
terminando di scrivere un libro e entro la prossima estate dovrebbe uscire il
mio nuovo disco, che è una raccolta di inediti mai registrati.
Come nascono oggi le tue canzoni e
come nascevano vent’anni fa?
Nascono
da allucinazioni. Rispetto a vent’anni fa sono sicuramente cambiati lo stile e
i contenuti; credo di aver superato l’adolescenza, anche se non del tutto.
Ricordi il titolo della prima
canzone che hai scritto?
Quando
avevo dodici anni ho musicato una poesia di Jacques Prevert, C’est Comme.