Il Domani della Calabria - 23/08/2000
Musica
e poesia di Lolli
Il professore miscela vecchio e nuovo con nostalgia
Negli anni '70 cantava
"canzoni di rabbia", oggi è un tranquillo professore di liceo che non
dimentica la passione per la musica e la letteratura. Claudio Lolli, il
cantautore bolognese, fuori dalla mondanità e dal clangore agostano, ha tenuto
una serie di concerti in Calabria. Lunedì sera si è esibito a Marzi. Lo
abbiamo incontrato, prima del concerto, con un gruppo d'amici in un bar.
Cordiale e affabile nei modi, ci ha raccontato delle sue ultime esperienze. Ti
accorgi subito di avere di fronte "una persona per bene" come direbbe
il suo conterraneo Enzo Biagi. Una persona dotata di un rigore morale d'altri
tempi. Se la prende, ma non troppo, con chi ha millantato la sua presenza
durante la tappa cosentina della carovana Beat di "Pullman my Daisy"
<Non è corretto, così non si fa>. Ciò che affascina di più è la
motivazione addotta a questo suo forfait: <ero impegnato con i miei alunni
per gli esami di Stato. Avevo affermato che non avrei potuto lasciare>.
Asciuttezza, rigore: è quello che emerge dalle sue parole. Sa farsi bastare
quello che ha. Non cerca il profitto. Niente locandine colorate: una fotocopia
con luogo e data del concerto sono il suo "tam tam". Il resto lo fanno
le canzoni. Ha raggiunto la Calabria in treno e con lo stesso mezzo tornerà a
Bologna per dieci giorni di pausa tournée. Parla ancora della sua città <è
cambiata: la sconfitta della sinistra è un segnale forte, manca l'aggregazione,
comincia a prevalere l'individualismo>. Poi un'ultima tirata di sigaretta
"per schiarire la voce" prima di iniziare il concerto. Nella piazzetta
di Marzi una scena essenziale. Niente effetti speciali, solo due colonne di
luci, un amplificatore e due chitarre. Ad accompagnare Lolli, come avviene da
qualche anno, il maestro Paolo Capodacqua. Con la sua chitarra classica riesce a
costruire un gioco d'armonie sempre indovinate. Si parte subito con "La
fine del cinema muto" tratta dall'album Claudio Lolli. Una canzone che
analizza il cambiamento, la metamorfosi. Un richiamo, forse, al personaggio di
Gloria Swanson in "Viale del Tramonto". Così come gli attori del
cinema muto si adattarono o rifiutarono l'avvento del sonoro, l'uomo accetta o
soccombe rispetto al mutare delle cose della vita. Come in un gioco si perde o
si vince. Ma Lolli tiene a ricordarci che non è vero che "chi perde ha
torto e che ha sempre ragione chi vince". Gioca con le parole, da attento
conoscitore della semantica. Nelle canzoni il testo è fondamentale, si
avvinghia alle note e alle armonie, mantenendone, però, dominanza. Più che un
concerto è un recital. Alcuni brani sono letteralmente declamati. Vecchio e
nuovo si miscelano con qualche nostalgia. I pezzi forti degli anni 70 sono
riarrangiati. "Primo Maggio di festa" e "Ho visto anche gli
zingari felici" animano i presenti. Lolli dialoga con il pubblico, presenta
ogni canzone. Tra un brano e l'altro non disdegna un goccio di vino da una
bottiglia sapientemente adagiata vicino alla chitarra. Sarà dell'ottimo Savuto
prodotto da queste parti: quel "succo di pietra" che macchia il
bicchiere. La serata fila via veloce, due bis e si chiude. Anche se gli
appassionati non lo vorrebbero lasciare andare. Qualcuno tira fuori vecchi Lp di
"puro vinile" da riportare a casa con l'autografo. Lolli firma.
Lasciamo questo poeta cinquantenne che oscilla tra presente e ricordi. Anche se
la serenità forse non gli appartiene. Perché come recitava una sua canzone
<la serenità non sa convivere con la memoria>.
Pier Paolo De Salvo