KW MUSICA 2001
Articolo Originale



Claudio Lolli, ritratto di uno splendido cinquantenne
Tra i cantautori storici italiani è uno dei più validi e coerenti, ma anche uno dei più misconosciuti. Ma il recente album, "Dalla parte del torto", ha avuto finalmente una promozione vera e i risultati stanno arrivando.
di Enrico Deregibus

Un album nel '97 (Intermittenze del cuore), uno nel '98 (Viaggio in Italia) e un altro da poco pubblicato (Dalla parte del torto), che sta ottenendo riscontri notevoli anche sul piano delle vendite. E poi una densissima attività dal vivo in tutta la penisola, che si intensifica sempre di più e che probabilmente sarà documentata in un prossimo album dal vivo. Claudio Lolli, da poco oltre i 50 anni, è in gran forma, con una scrittura sempre più affinata e incisiva. L’abbiamo incontrato per parlarne.

Come vede il suo presente artistico?
Io lo vedo molto bene, nel senso che mi sono fatto un’idea della mia "carriera" artistico-musicale come minoritaria. Suono in posti piccoli per relativamente poca gente, un po’ per necessità e un po’ per scelta, dal momento che suonare per tutti oggi in Italia significa subire delle costrizioni che io non sono disposto a subire e neanche sono capace di subire. Ho fatto due dischi negli ultimi tre anni, faccio una quarantina di concerti all’anno. Io non mi sento l’obbligo di essere il cantante per tutti e lo dico veramente senza snobismo. Però vedo che c’è gente che mi ascolta, che mi viene a sentire, che mi chiama. Esisto come produttore di musica, di parole, di senso. Va bene così.

Molti la identificano, per i suoi testi, con un’immagine di tristezza, che in realtà la rappresenta solo in parte, perché in quello che scrive c’è ironia, c’è rabbia, c’è tenerezza, c‘è analisi. Come vive questa situazione?
Adesso si. Io credo che le modalità di comunicazione, i filtri che esistono, siano molto potenti. Io sono stato per anni il cantante che istigava i giovani al suicidio, ero il cantante triste. Questo era semplicemente un comunicato dell’ufficio stampa della EMI, la mia vecchia casa discografica. Poi sono diventato il cantante dell’ultrasinistra, dell’autonomia, del 77, l’iperpolitico. E poi qualcos’altro ancora. Nessuna di queste immagini è vera, ognuna coglie solo un piccolo aspetto di una produzione che credo sia più complessa. Io ho provato tanta volte ad uscire da questi stereotipi ma non è molto facile. Uscendo da uno si precipita in un altro. A questo punto precipitatemi dove volete, io faccio quello che mi pare.

Oggi cantare di politica pare davvero difficilissimo. Come si trova oggi uno che vuol parlare di certi temi in una canzone?
Oggi c’è ancora di più da dire, proprio perché nessuno se ne occupa, nessuno dice. Secondo me però bisogna distinguere. Da un lato l’intenzione è sempre quella, di una produzione di musica e di senso che sia, se non immediatamente politica, sempre comunque critica, qualcosa che aiuti a costruire un punto di vista antagonista o perlomeno diverso. Non ottimista, non buonista, non rassegnato, non assecondante. Dall’altro lato c’è una questione forse di stile, di maturazione personale o anche d’invecchiamento, se si vuole. Per cui si utilizzano altre strade, sentendo altri stimoli, altre atmosfere e situazioni. Ad esempio in un recente album c’è una canzone che si chiama L’amore ai tempi del fascismo che forse è molto più politica di Agosto o di Ho visto anche degli zingari felici, meno immediatamente, ma più profondamente politica. Ci sono poi anche alcune storie d’amore complicate e trasgressive che forse sono più critiche nei confronti del modus vivendi della borghesia italiana di oggi.

La sua produzione, attuale e degli ultimi venti anni, è probabilmente superiore dal punto di vista tecnico-formale, ma anche contenutistico, a quella degli anni Settanta.
Io sono d’accordo. I dischi che la gente conosce di più sono quelli fino al 76, fino a Ho visto anche degli zingari felici, che era comunque già un disco abbastanza maturo. I tre prima avevano molte ingenuità, c’era qualche episodio molto felice di scrittura, non certo di arrangiamento o di esecuzione, e molti altri episodi faticosi dal punto di vista della esposizione, della narrazione. Però per una strana congiunzione astrale quello è rimasto il periodo con l’immagine dominante. Non ho finito lì, anzi ho scritto delle cose migliori. Il problema è che se pochi le conoscono è difficile dimostrare o proporre il fatto che siano migliori.